La strage di memoria

Liberazione 25Aprile anziani coronavirus rsa


Settantacinque, come gli anni passati da quel giorno di primavera in cui finalmente il nemico fu sconfitto. Settantacinque, come l’età intorno alla quale un virus maledetto ha colpito più duramente. Tre quarti di secolo dentro i quali una generazione, quella dei nostri nonni, ha vissuto una guerra mondiale – una vera, fatta di bombe, fame e privazioni – e poi si è trovata a dover fronteggiare una nuova minaccia globale, questa volta subdola ed invisibile. Una generazione che dopo la ferocia nazifascista e lo spietato scorrere del tempo, ha trovato sulla sua strada un altro vile nemico.

A settantacinque anni dalla Liberazione, è impossibile non pensare a loro: a chi partecipò, non importa se da protagonista o comprimario, a quel cruciale passaggio della nostra storia, ma che oggi improvvisamente quel virus maledetto si è portato via. È impossibile non pensare a chi allora passò indenne per bombardamenti e rastrellamenti, per poi spegnersi solo ed isolato in un letto d’ospedale tanti anni dopo, o peggio, solo e dimenticato in una delle tante residenze per anziani sparse per il paese. Residenze che in una straziante lettera d’addio alla famiglia scritta da un loro ospite morto per Covid-19, vengono definite “prigioni dorate”, dove apparentemente è tutto in ordine e non manca niente, ma l’essere umano scompare per diventare solo un numero, o meglio ancora una retta da incassare. Un luogo d’abbandono e spesso di violenza, dove gli ospiti, dice ancora quella lettera, sentivano già di essere in una “cella frigorifera”, e in cui, riferiscono le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sarebbero avvenute circa la metà delle morti per Covid-19 del mondo. Decine di migliaia di uomini e donne di cui avremmo tranquillamente ignorato le sorti, come in effetti abbiamo fatto, se non fosse stato per una pandemia globale, o per immagini scioccanti come quelle dei camion militari carichi di bare di Bergamo. Una strage silenziosa a cui è seguito un lutto collettivo riflesso, che tuttavia non può cancellare quel malcelato sollievo nazionale provato nel momento in cui si è compreso che in fondo il virus se la sarebbe presa soprattutto coi vecchi.

Così, tra le pieghe di un sistema economico insostenibile, di un sistema sanitario debilitato, di un sistema di valori largamente compromesso dal denaro, ciò che non ha potuto una guerra, ha potuto un virus. Abbiamo abbandonato a sé stessa una generazione che ha costruito questo paese, e al contempo perduto tanti testimoni diretti di quello che fu l’evento fondativo della nostra repubblica: nel solo corteo funebre di Bergamo, quindici feretri erano di ex-partigiani. Uno spreco di memoria che un giorno o l’altro pagheremo, o nella migliore delle ipotesi, un giorno i nostri figli e nipoti ci rimprovereranno di non aver impedito. Da quella memoria resistente, quando usciremo da tutto questo, toccherà attingere a piene mani per trovare la forza e lo spirito per ricominciare. E quel giorno sarebbe bello che il mondo che andremo a ricostruire, somigliasse almeno un po’ a quello che settantacinque anni fa i nostri nonni, col sangue e col sudore, sognarono per sé e per noi.

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