E quindi uscimmo a riveder le stelle e strisce?


Doveva far diventare l’America di nuovo grande, e invece l’ha solo divisa e resa più ingiusta. Aveva illuso la working class americana di tenere lontano il mondo con dazi e muri, invece poi il mondo è entrato di prepotenza con una pandemia globale nelle vite di quei “penultimi” del Midwest che l’avevano votato. Era partito col vantaggio di un’economia in salute, ma sotto i colpi della pandemia e della sua gestione politica, economica e sanitaria, ha portato il PIL nazionale ad un -30% mai registrato prima. Diceva che il “virus cinese” sarebbe stato presto domato, invece lo ha lasciato libero di correre in tutto il paese tanto da finire per prenderlo anche lui. Sarebbe dovuto essere l’artefice della riscossa dell’America WASP, quella bianca, anglosassone e religiosa, l’uomo capace di riconquistare l’America agli americani e di riordinare un mondo a soqquadro, ed invece è lì che governa uno dei paesi col più alto numero di ‘morti per disperazione’, la gran parte dei quali proviene proprio dalle fila di quella working class messa in ginocchio dall’uno-due crisi sanitaria più crisi economica, e che aveva abboccato alla storia del miliardario che ha a cuore le sorti del suo paese. A rialzare la testa, invece, durante la sua amministrazione solo suprematisti bianchi, evangelici ortodossi, antiabortisti, antifemministi, e complottisti di ogni risma. Quel variegato mondo della destra ultraconservatrice, insomma, che appena qualche giorno fa aveva minacciosamente invitato a “restare in attesa un passo indietro”. Sì perché pare che The Donald pur di rimanere nello Studio Ovale sia disposto a tutto: l’accusa di brogli nel voto postale e la frettolosa nomina di una giudice a lui fedelissima alla Corte Suprema sono al riguardo due chiari segnali.

Ecco allora che il voto del prossimo 3 novembre potrebbe essere molto più di un voto presidenziale: una battaglia di civiltà e assieme una battaglia legale, oltre che, come qualche osservatore si è spinto ad ipotizzare, uno scontro di popolo. Già, perché tra Antifa, movimenti neri organizzati attorno al Black Lives Matter, ma anche studenti, femministe e mondo Lgbtq, scesi in piazza un giorno sì e l’altro pure durante questi ultimi quattro anni, e gli ultras irriducibili del presidente organizzati in milizie armate protagoniste nelle scorse settimane di azioni violente, corre voce si stiano già affilando i coltelli. E con un presidente che non ha mai cercato di essere il presidente di tutti gli americani, e che anzi non ha mai fatto mistero di essere il paladino di una sola parte di essi, il rischio del diffondersi, proprio in quella parte, dell’idea di una sconfitta fraudolenta equivarrebbe a sventolare un drappo rosso davanti a un toro. Cos’altro di meglio per una mente paranoica abituata a vedere torbide macchinazioni ovunque?

Certo, la sconfitta di The Donald, è un esito, oltre che un auspicio, alimentato dalla gran parte dei sondaggi delle ultime settimane, ma fra i democratici, in primis per il moderato e alquanto sbiadito contendente Biden, è chiaro il punto che per evitare il colpo di coda dell’animale ferito bisognerà vincere con un largo margine sia nel voto popolare che in quello dei collegi. Cosa tutt’altro che semplice, visto che né il mezzo milione di voti in più di Al Gore del 2000 né i tre milioni di consensi popolari in più ottenuti dalla Clinton nel 2016 furono sufficienti ai due candidati democratici per entrare nella Casa Bianca. Anche allora sembrava impossibile, eppure la presidenza andò ai due candidati sfavoriti. Così come nessuno avrebbe scommesso un centesimo sull’elezione di The Donald quattro anni fa, in pochi nel 2004 avrebbero puntato sulla rielezione di un presidente che aveva scatenato due guerre giustificate dalla menzogna delle armi di distruzione di massa. Eppure. Eppure di quell’America profonda che non vuol aver fastidi, che vive nell’abbandono delle praterie o delle periferie, sospesa tra il suicidio e l’american dream se c’è una cosa che ormai avremmo dovuto imparare è che non ci si può fidare.