La metropolitana man mano che ci si avvicina al capolinea di Rho s’infittisce di mani, braccia e teste. Un coacervo umano e di vite che s’incrociano sulla strada per l’Expo. Una vera manna per borseggiatori o per chi ha intenzioni ben peggiori. Da Duomo a Rho è un attimo. Un attimo in cui puoi apprezzare tutta l’efficienza meneghina.
Ci siamo! I vagoni della metropolitana si svuotano riversando sulla banchina centinaia di persone. Risaliti in superficie, è subito Expo. L’ingresso Fiorenza è lì a pochi passi. Un nuovo fiume umano scorre frenetico davanti ai nostri occhi. Ordinatamente in fila ognuno aspetta il momento in cui il metal-detector sentenzierà sul proprio destino. Passeremo subito o l’orologio d’acciaio, il ciondolo d’oro, oppure i nostri pochi spiccioli, ci tireranno un colpo basso prolungando la nostra attesa prima d’entrare nel cuore della grande Esposizione? E’ fatta! Gli addetti al controllo ci accolgono con un sorriso, il nostro biglietto viene passato al laser. Tutto ok, siamo dentro l’Expo. Beh, non proprio. C’è da percorre quasi un chilometro prima di raggiungere il Padiglione Zero, ovvero il primo padiglione dell’Esposizione.
Comincia a piovere ma lungo il percorso coperto che divide l’ingresso Fiorenza al Padiglione Zero non c’è da temere la pioggia. Ovunque ti giri, i più diversi volti. Diversi per cultura, lingua, razza ed età. Ragazzi dello Staff Expo, con espressione già infiacchita di primo mattino, di certo a causa dei turni massacranti cui sono soggetti, provano a farsi sentire in mezzo al brusio di centinaia e centinaia di persone. Propongono il Passaporto dell’Expo: un libretto simile ad un vero passaporto su cui collezionare i timbri dei vari padiglioni. Simpatica idea ma di passaporti, di questi tempi, è meglio non parlarne. L’Ungheria, Schengen, sono vicine. Tiriamo dritto.
Il Padiglione Zero ci annuncia che stavolta siamo davvero arrivati. Fine del percorso coperto. La pioggia che cade sempre più copiosa dal cielo plumbeo di Milano, si merita le imprecazioni della folla di visitatori accorsi in questa domenica di settembre all’Expo. Piccola deviazione laterale e si è sull’oramai noto Decumano. Ti aspetti di trovare subito sulla tua strada qualche camouflage, ovvero uno di quei “camuffamenti”, per nascondere i ritardi dei lavori di costruzione, di cui si è tanto parlato nelle settimane che hanno preceduto l’inaugurazione dell’Esposizione, ma fortunatamente non ne vedi l’ombra. Poi pensi: diamine! Ci mancherebbe anche che ce ne fossero ancora in giro a poco più di un mese dalla fine della kermesse.
Manca poco alle dieci, e a quest’ora, complice la pioggia e l’indecisione dei visitatori appena arrivati, sul da farsi, la maggior parte dei padiglioni presenta ancora code umanamente sostenibili. Entrando distrattamente nel Padiglione Nepal, causa la struttura a forma di pagoda, finisci per confonderlo con quello cinese, ma le statue sacre simili a quelle indiane, ti riportano sulla strada giusta. Ritorna in mente addirittura la notizia di qualche mese fa, dello scorso aprile per la precisione, quando si era fatto un gran parlare degli operai nepalesi, impegnati nella costruzione di quel padiglione, costretti a ritornare nel loro Paese a causa del violento terremoto che lo aveva colpito.
Il padiglione irlandese se la prende comoda. E’ ancora chiuso. Pensi: chissà cosa avranno combinato ieri notte quegli irlandesi lì!? Quello belga mette in mostra le sue eccellenze: cioccolato, birra e diamanti. Padiglione opulento, quello belga. Una delizia, tuttavia, per i sensi. Fuori, i tendoni del Decumano non fanno fino in fondo il loro dovere. La pioggia colpisce duramente anche lì e la temperatura precipita. Così, un po’ per curiosità e un po’ per trovare riparo, entri in tutti i padiglioni minori, perlopiù africani ed asiatici, collocati prevalentemente nei cluster tematici del riso, del cacao, del caffè, dei legumi e delle spezie. E allora, in successione, entri ed esci dai padiglioni della Cambogia, del Camerun, dell’Afghanistan, della Guinea, quello delle Isole Vanuatu e del Sudan. Qui incautamente ti lasci tentare dal caffè arabo offerto ad un euro e mezzo. Un sorso e rimpiangi subito il vecchio e caro espresso italiano. Ma sai com’è, conoscendo i prezzi di questo Expo, è facile lasciarsi tentare dal primo prodotto venduto a buon mercato.
Nel cluster dedicato al caffè rimani in raccoglimento qualche istante di fronte alle magnifiche foto di Sebastiao Salgado che, attraverso i volti e i corpi dei lavoratori delle piantagioni di caffè, narrano la storia di tante piccole comunità sparse per il mondo. Uomini e donne che insieme formano una moltitudine di 125 milioni di persone legate a vario livello alla lavorazione e al commercio del caffè. E poi, ancora: Guinea, Ghana, Costa D’Avorio, e c’è persino la Repubblica del Kirghizistan con la sua “inconfondibile” bandiera nazionale dallo sfondo rosso sormontato da una specie di pallone giallo che sembra essere proprio quello dei “campioni della pallavolo” Mila & Shiro. Sarà lui poi? L’orologio gira! Bisogna andare, ma ti resta il dubbio.
E’ ormai ora di pranzo, il tempo sembra volgere finalmente al bello. Un odore di barbecue si spande inaspettatamente lungo tutto il Decumano. Sulla mappa ricevuta all’ingresso noti, la presenza del Padiglione McDonald’s. E allora fatalmente mediti sul fatto che mangiare carne, con la voracità dei Paesi sviluppati, oltre che contrario a qualsiasi principio di buona alimentazione, è anche tutt’altro che sostenibile. Con i cereali che si utilizzano per foraggiare gli animali da macello si potrebbero sfamare milioni di persone. Oggi, infatti, si nutrono quattro miliardi di animali per dare cibo a un miliardo di persone sovralimentate. Ciò innesca un sistema paradossale per cui nel mondo attuale a fianco di chi continua a morire per scarsità di cibo c’è chi muore per troppo cibo. E, il vero dramma, è che i paesi in via di sviluppo stanno seguendo le nostre stesse orme in fatto di abitudini alimentari. Con questi pensieri che ti rimbalzano nella testa, ti godi seduto in un padiglione anonimo, convertito per l’occasione in mensa provvisoria dai visitatori, il tuo pranzo a sacco.
All’uscita, adocchi il padiglione francese che presenta una coda all’ingresso stranamente non proibitiva. Procedi a rilento attraverso il percorso che conduce al vero e proprio ingresso del padiglione mentre ammiri le varietà di coltivazioni che caratterizzano le diverse regioni del Paese della Marsigliese. All’interno non puoi fare a meno di stare con il naso all’insù tanti sono gli oggetti appesi al soffitto: pentole, pane, pesci, barattoli ed ogni altra sorta di cosa collegata al tema dell’alimentazione, o forse, sarebbe meglio dire, della cousine. Da un maxi-schermo, collocato all’interno, ti intrattieni nella visione di un bel documentario animato che spiega con parole semplici le criticità collegate al tema dell’alimentazione nel mondo d’oggi. Insomma, un bell’esempio di divulgazione e sensibilizzazione quello proposto dai nostri cugini francesi.
Il tempo è tiranno! Così, proprio per questa ragione, arrivati al Padiglione Italia ti rassegni subito all’idea che non lo visiterai mai. Una coda di almeno due ore che scoraggerebbe anche il più patriota dei visitatori. Intanto, centinaia di smartphone sotto l’Albero della Vita sono a caccia della foto ricordo. A guardarli bene, alcuni visitatori sembrerebbero essere venuti fin qui solo per fare quello. Ma, tant’è! La nostra è un’epoca in cui basta poco per sentirsi dei fotografi provetti. E poi, vieni fin qui, e non dai fondo a tutta la batteria del tuo smartphone a furia di fare foto!? E se non le pubblichi su Facebook poi! Qualcuno un giorno potrebbe persino dubitare che tu ci sia mai stato all’Expo.
Un’altra occhiata alla mappa, e via a caccia dell’ultimo padiglione accessibile. Toh, c’è quello russo! Si può fare! Maestoso e popolato esclusivamente da personale russo doc, trasuda di quella grandeur che avresti pensato di trovare altrove ma che, alla fine, lascia spesso delusi. Ed è così anche in questo caso. Dal bel terrazzo del Padiglione Russia, tuttavia, puoi goderti il paesaggio per metà grigio e per metà multicolore di Milano e della sua grande Esposizione prendendo così congedo da Expo.
Tornando sui tuoi passi, tiri le somme. La visita è stata bella e stimolante, d’accordo. Ma ti chiedi: tutto questo ha meritato l’attenzione politico-mediatica e il dispendio di risorse [i lavori dell’Expo sono costati circa un miliardo di euro, ndr] che gli è stato riservato? Questa grande kermesse è davvero capace di cambiare le menti? E’ in grado di sensibilizzare la gente, che accorre qui in gran numero ogni giorno, verso gli eccessi del consumismo? Se il destino dell’umanità è legato ad un consumo minore di cibo e ad un suo conseguente minore spreco, oltre che ad un consumo più responsabile e sostenibile, contraddistinto cioè da una più netta scelta vegetariana, allora, si può certamente dire, che questo Expo non è all’altezza della sua fama. Tutto interessante, va bene. E sicuramente anche molto remunerativo, per qualcuno. Ma per favore, finita la fiera, facciamo almeno in modo che resti davvero qualcosa di questo grande e costoso evento, non solo l’inutile effetto “cattedrale nel deserto”, nel paesaggio di Milano così come nelle coscienze di ognuno di noi.