Ducetti e scherzetti

Umbria Salvini Lega Renzi bipolarismo


E anche l’Umbria è andata. Dopo Sardegna, Abruzzo e Basilicata, tanto per restare ai più recenti tracolli elettorali, ecco che il centrosinistra fa un altro dei suoi scherzetti: perdere una regione che sulla cartina geografica della politica italiana era considerata da sempre un’inespugnabile roccaforte rossa. Una regione dove fino a qualche anno fa la guida di un comune, quello di Gubbio per la precisione, era un affare a due tra Rifondazione Comunista e sinistra moderata. Primi anni Duemila, non un’era geologica fa. In mezzo, tanti rivolgimenti. Uno su tutti, l’ascesa dei Mattei. Quelli che nel solco della tradizione berlusconiana hanno reso la politica un affare di slogan, di tweet e battutine. Deriva avanspettacolare di cui abbiamo avuto ampio saggio nel recente duello televisivo tra i due. Allora, a detta dei più, era stato il Matteo toscano ad avere la meglio, ora, dopo il sacco d’Umbria, è il Matteo lumbard a cantar vittoria.

A meno di due mesi dalla nascita del governo giallorosso, al di là delle photo opportunity da campagna elettorale, la santa alleanza anti-salviniana PD-M5S registra i primi scricchiolii: lo schema tutti contro uno di anti-berlusconiana memoria sembra già mostrare la corda. Chi volle con forza quell’accordo sotto l’ombrellone a ferragosto, Renzi, oggi, perfettamente in sintonia con il perfido ghigno di una zucca di Halloween, attacca malevolo: “il patto non funziona”. E come in un gioco dell’oca, eccoci ritornati al 2018, quando il “Machiavelli” di Rignano s’inventò prima la storia dei pop-corn e poi quella del #senzadime. Il maestro Miyagi avrebbe detto metti la cera togli la cera. Ma qui a scivolare verso il sovranismo fascioleghista siamo noi. E sì perché se il piano del Matteo toscano, agevolato dall’insana passione per lo scontro bipolare della stampa mainstream, era quello di prender tempo con il governo giallorosso per ritornare in pista e riproporsi agli italiani come l’alternativa più credibile a populisti e sovranisti nostrani, questi, guidati dall’altro Matteo, quello lumbard, avanzano a spron battuto. E non c’è scandalo o inchiesta di Report che tenga: ricordare che c’è una sentenza della Cassazione sui 49 milioni sottratti dalla Lega, ricostruire le trame che avrebbero portato nelle casse di quello stesso partito altri 65 milioni dalla Russia, oppure denunciare i rapporti che il partito di Salvini intrattiene con movimenti nazifascisti, ultraconservatori, antifemministi, omofobi e razzisti, italiani e non, ora come ora sembrerebbe servire quanto uno spruzzo di Chanel Nº5 in un allevamento intensivo della bassa padana. E il letame, per il momento, ci arriva solo alle ginocchia. Perché se a gennaio, quella che è stata già definita con toni epici “la battaglia di Stalingrado” dell’Emilia Romagna dovesse finire con un altro exploit sovranista, dalla Via Emilia a Roma sarebbe tutta discesa. Una valanga che probabilmente finirebbe col travolgere anche un M5S in piena crisi di consenso, sceso in Umbria sotto il 10%, e che proprio lungo quella Via Emilia si è visto rifilare anch’esso uno scherzetto dalla sindaca pentastellata di Imola che dimettendosi ha lanciato la sua cupa sentenza: “il Movimento 5 Stelle è morto”.

Andreotti amava dire con Talleyrand che il potere logora chi non ce l’ha. Ma evidentemente non conosceva bene i due Mattei. E soprattutto non poteva sapere che con PD e M5S si sarebbero raggiunte vette di autolesionismo, opportunismo, e dilettantismo politico tanto alte. Davanti a noi adesso, altri tre lunghissimi mesi di campagna elettorale in cui la maggioranza di governo finirà di logorarsi sulla legge di bilancio, il Matteo toscano continuerà a cannoneggiare sempre più fitto sul governo che lui stesso ha tenuto a battesimo, e il Matteo lumbard salterà fuori pure dai tortellini. Un altro “abbacchio” di propaganda che temiamo farà anche lui lo scherzetto di rimanerci sullo stomaco.